Venerdì 7 ottobre, il Nobel per la Pace è stato assegnato a Juan Manuel Santos, il presidente colombiano "per i suoi risoluti sforzi per giungere alla pace con i guerriglieri delle Farc". Il 2 ottobre, in una giornata elettorale particolare in vari paesi del mondo, il popolo della Colombia ha respinto quell'accordo in un referendum che sembrava invece doverlo confermare.
In quello stesso giorno si votava in Ungheria, nel referendum contro l'accoglienza dei profughi, e in Bosnia per le elezioni amministrative.
"Il Comitato norvegese ha deciso di assegnare il premio per la pace al presidente colombiano per i suoi sforzi risoluti nel portare a termine la guerra civile lunga 50 anni e che è costata la vita ad almeno 220mila colombiani, oltre ai sei milioni di sfollati", si legge nel comunicato reso noto dal Comitato Nobel la mattina del 7 ottobre. "Il premio - continua - deve essere visto come un omaggio al popolo colombiano che, nonostante grandi difficoltà e abusi, non ha mai perso la speranza di una pace giusta, e a tutte le parti che hanno contribuito al processo di pace. Questo tributo è stato pagato, non da ultimo, ai rappresentanti delle innumerevoli vittime della guerra civile. Il fatto che la maggioranza abbia votato no al referendum, non significa che il processo di pace sia morto: il referendum non ha bocciato il desiderio di pace, ma uno specifico accordo". Il Comitato di Oslo, nel consegnare il Nobel per la Pace a Santos, ha poi aggiunto: "Noi speriamo che il premio gli dia la forza per continuare i i suoi sforzi e che tutte le parti partecipino in modo costruttivo ai negoziati".
I cittadini colombiani, domenica 2 ottobre avevano detto "no" allo storico accordo di pace raggiunto a fine agosto tra il governo e i guerriglieri delle Farc: un risultato inatteso che ha scioccato il paese e il mondo intero. Vincitore senza ombra di dubbio, ne è uscito l'ex presidente Alvaro Uribe. Su La Stampa, Emiliano Guanella spiega cosa sta dietro questo risultato: non solo motivi politici, non solo la droga, ma a sostenere Uribe e il no c'erano anche i grandi latifondisti contrari alla redistribuzione delle terre prevista negli accordi di pace. Perché ha vinto il no è una domanda alla quale provano a dare una risposta anche Termometro Politico e El Pais tradotto da Internazionale.
In Ungheria, il referendum contro la ricollocazione di profughi prevista dall'Europa non ha inaspettatamente raggiunto il quorum: ma chi è andato a votare ha detto in massa no all'accoglienza (98%) lasciando in mano al presidente un'arma ancora affilata contro Bruxelles. Come ha riassunto brillantemente Politico.eu nell'articolo intitolato "L'Ungheria spedisce alla Ue un messaggio pro-Orban" (in inglese). Di più: molti analisti, anziché parlare di sconfitta, hanno avvertito che il voto ungherese rischia di diventare un moltiplicatore di tanti piccoli e grandi Orban nel Vecchio Continente. Su LaRegioneTicino una lucida riflessione di Erminio Ferrari, su Radio Popolare la filosofa ungherese Agnes Heller.
Infine, in Bosnia Erzegovina gli elettori si sono recati alle urne per le elezioni amministrative e hanno espresso un sostegno ai partiti nazionalisti. E la sinistra ha per la prima volta perso il governo della capitale Sarajevo. Ne ha scritto l'Osservatorio Balcani e Caucaso in un articolo di commento al voto. A Srebrenica, dopo la vittoria di un sindaco serbo, è stato chiesto il riconteggio delle schede, ha raccontato Il Piccolo che come sempre segue con attenzione gli instabili equilibri politici nei Balcani. Una settimana prima, un altro segnale d'allarme era arrivato dai risultati schiaccianti a sostegno di un referendum che divide e riapre scenari di guerra, come raccontato da Andrea Tarquini su Repubblica. |
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