Ong sotto attacco. Ma i donatori non sono scappati
Primavera 2017, nel pieno della campagna 5 per mille: “taxi del mare”, “complici dei trafficanti”. Estate 2018, dalla Libia si continuava a partire ma navi umanitarie di nuovo nel mirino: “#portichiusi”, “finita la pacchia”. E ora l'odissea appena conclusa delle navi Sea Watch3 e Sea Eye. Le hanno provate tutte per screditare le ong impegnate in attività di Sar (Search and rescue, ricerca e soccorso) nel mar Mediterraneo e di conseguenza tutto il mondo dell’umanitario. Chi? Prima una fetta dell’opinione pubblica ammaliata dal sovranismo, poi le stesse istituzioni, con l’attuale ministro dell’Interno in prima fila. Ce l’hanno fatta: navi delle ong ora quasi del tutto ferme - compresa Aquarius che ha salvato 28mila persone in due anni - e danno d’immagine clamoroso che si ripercuote inevitabilmente sui beneficiari. Clamoroso quanto? “Per il solo 2017 stimiamo un ammanco di 4 milioni di euro, ovvero il 7% delle donazioni raccolte in tutto l’anno”, mette nero su bianco Annalaura Anselmi, direttrice Raccolta fondi di Msf Italia. “Un danno su larga scala perché noi riceviamo solo da privati, non dal pubblico. E i fondi che raccogliamo in Italia vanno a centinaia di progetti sparsi in tutti i continenti, dalla lotta all’ebola in Congo al sostegno dei profughi nei campi del Bangladesh al supporto a chi è sotto le bombe in Yemen”.
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