Fino a quando si potrà continuare a tacere? Fino a quando a fingere di non sapere chi e che cosa viene pagato per la tranquillità falsa e senza coscienza d'Europa?
La domanda posta da Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, arriva in una settimana nella quale si torna a dedicare attenzione al problema delle migrazioni. Domenica 20 si è celebrata la giornata mondiale del rifugiato. Spesso guardiamo alle numerosissime celebrazioni dell’Onu come a eventi pieni di inutile retorica; tuttavia queste giornate sono anche un’occasione per riflettere su dati inediti e così è avvenuto per il World refugee day, che ha fornito all’Unhcr, l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, l’occasione per diffondere il suo rapporto “Global trends in forced displacement - 2020”.
Da questo documento abbiamo appreso che nel mondo ci sono 82,4 milioni di persone che alla fine dello scorso anno avevano dovuto abbandonare le loro case “come risultato di persecuzioni, conflitti, violenze, violazioni dei diritti umani o altri eventi che hanno seriamente minacciato l’ordine pubblico”. Notiamo che in quest’ultima categoria sono compresi anche i disastri naturali che hanno costretto intere popolazioni a lasciare le loro terre. Il dato comprende 26,4 milioni di rifugiati sotto mandato dell’Onu, compresi 5,7 milioni di palestinesi. Tra gli altri 48 milioni di persone che sono rimaste all’interno del loro Paese (internally displaced people), 4,1 milioni di richiedenti asilo e 3,9 milioni di venezuelani fuggiti all’estero.
Il numero delle persone in forced displacement è in costante crescita: a fine 2019 erano 79,5 milioni, quindi nel 2020 nonostante la pandemia sono aumentate di quasi tre milioni.
Due dati saltano subito all’occhio. Il primo è che più di due terzi, per la precisione il 68% dei rifugiati sotto gestione Unhcr, proviene da cinque Paesi: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. Il secondo è che l’86% di chi è costretto a lasciare la propria casa si ferma nel proprio o in un altro Paese in via di sviluppo. Sono dunque una minoranza quelli che raggiungono l’Europa o altri Paesi ricchi, in parte per la difficoltà di entrarvi, ma anche perché molti desiderano rimanere per quanto possibile vicino a casa, nella speranza di farvi ritorno.