Un Rapporto ASviS diverso dal passato, non solo per i numerosi miglioramenti editoriali, ma per far fronte a una situazione politica che impone di alzare il livello del confronto. Occorre combattere “fake news, negazionismi ed egoismi vari”.
di Donato Speroni
Il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura.
L’allarme di Papa Francesco all’inizio dell’esortazione apostolica “Laudate Deum”, ripresa anche da Marcella Mallen in apertura dell’evento di presentazione del Rapporto ASviS 2023, corrisponde alla sensazione di molti di noi, soprattutto di chi ha un po’ di decenni sulle spalle: dal dopoguerra a oggi non abbiamo mai attraversato una crisi così grave. L’umanità ha vissuto altri momenti difficili, dal confronto sui missili a Cuba del 1962 alla tragedia delle Torri gemelle dell’11 settembre 2011 con tutte le sue nefaste conseguenze, ma oggi si ha l’impressione di affrontare qualcosa di diverso, che segna la fine di un equilibrio durato oltre settant’anni. Non soltanto per il carattere di “scontro di civiltà” che l’offensiva terroristica di Hamas è riuscita a ottenere inasprendo l’antica rabbia del mondo islamico e i giustificati timori in Europa e Stati uniti, ma anche perché, nonostante la criminale invasione dell’Ucraina da parte della Russia, molti Paesi del Sud del mondo tendono a prendere le distanze e a ridefinire i rapporti con quello che abitualmente chiamiamo l’Occidente.
C’è anche una componente generazionale in tutto questo perché sono troppi i giovani, non solo a Gaza e in Africa ma anche nelle nostre periferie, che non vedono una prospettiva di miglioramento della loro situazione negli attuali assetti politici ed economici e sono pronti a sposare con uguale fervore cause giuste ed ingiuste, pur di smuovere la situazione. Come è già stato sottolineato da Flavia Belladonna nell’editoriale della scorsa settimana, stiamo vivendo un generale attacco al concetto stesso di democrazia e, in molti Paesi, al funzionamento del sistema democratico.
La somma di queste crisi crea una geopolitica di divisione, paralizza il multilateralismo e quindi il ruolo delle organizzazioni che sovraintendono allo sviluppo pacifico dell’umanità. In ultima analisi, può indurre a chiedersi perché crediamo ancora nell’Agenda 2030, nata nel 2015 in un momento di ben altro ottimismo sulle possibilità di collaborazione tra i popoli. Ma non c’è altra via per uscire dall’attuale situazione, se non contare sulla collaborazione internazionale con uno sguardo alla costruzione del futuro, come ha detto con chiarezza il presidente Sergio Mattarella nel suo discorso alla Fao.
|