Quell'anno faceva tanto caldo che bisognava uscire ogni sera e a Ginia pareva di non aver mai capito prima cosa fosse l'estate tanto era bello uscire ogni notte per passeggiare sotto i viali. Qualche volta pensava che quell'estate non sarebbe finita più, e insieme che bisognava far presto a godersela perché, cambiando la stagione, qualcosa doveva succedere.
Nelle ultime settimane le pagine culturali della stampa rievocano “La bella estate” di Cesare Pavese, trittico di tre brevi romanzi di formazione con cui 71 anni fa, nel giugno 1950, lo scrittore piemontese si aggiudicava il Premio Strega. L’impressione di dover fare presto e la trepidazione per qualcosa che deve succedere descrive in modo intimo e familiare la spensieratezza cui associamo la stagione delle giornate lunghe e, con agosto alle porte, l’attesa, la speranza e la malinconia che accompagnano l’intravedere della coda dell’estate e l’avvicinarsi dell’inizio del nuovo anno scolastico, accademico, lavorativo. Rifuggendo la retorica che pretende di individuare un tipo univoco al quale dovrebbe corrispondere la categoria di “giovane”, l’attesa di qualcosa che deve succedere pare raccontarli tutti, i giovani. Racconta quelli che non sanno se torneranno tra i banchi di scuola o se proseguiranno nel vissuto disincarnato della didattica a distanza, che troppo a lungo li ha privati di quell’esperienza multisensoriale, corporea ed emotiva, che è fondamentale per l’apprendimento e per la fissazione delle memorie. Racconta i ragazzi alla ricerca di un lavoro che non arriva, molto spesso precario o che non li soddisfa. Il Rapporto annuale Istat 2021, presentato lo scorso 9 luglio, afferma che nel 2020 sono 2 mln e 100mila i giovani “Neet” di 15-29 anni, pari al 23,3% dei giovani di questa fascia di età (in aumento di 1,2 punti percentuali rispetto al 2019). Racconta i ragazzi che, attraversando fisiologiche sperimentazioni ed esitazioni, nonché sacrosanti smarrimenti, sono penalizzati nel percorso di ricerca e di costruzione della loro identità personale, che per compiersi pienamente deve passare anche per l’emancipazione dalle famiglie: per riti di passaggio ed eventi-soglia che ne sanciscano l’ingresso nella vita adulta e che, per essere celebrati, necessitano di possibilità materiali spesso negate. Racconta i giovani frizzanti, e quelli disillusi e stanchi. Qualcosa deve succedere è ciò che passa per le teste dei ragazzi che si stanno mobilitando per la PreCop26, l’insieme di iniziative che si svolgeranno a Milano tra settembre e ottobre prossimi con l’obiettivo di definire i temi chiave per i negoziati della Cop26, conferenza delle Nazioni unite che si terrà a Glasgow a novembre. Alle spalle avranno un’estate caratterizzata da catastrofi naturali dolorose, causate dal vorticoso degrado ambientale. L’attesa di qualcosa che deve succedere racconta anche chi non è più tanto giovane, ma che quando si parla di giovani ancora drizza le orecchie e si chiede “parleranno anche di me?”, perché, pure se ha varcato la soglia dei 30 anni, vive quello stato di sospensione di chi non ha ottenuto poi molto – nonostante gli sforzi profusi – e attende ancora più di qualcosa.