A Bonn ancora nulla sullo stop ai combustibili fossili, ma Guterres mette sotto accusa le aziende produttrici; quello che i governi non hanno il coraggio di fare potrebbe essere smosso dalle numerose “climate litigation".
di Ivan Manzo
All’inizio di questa settimana, il 19 giugno, l’Organizzazione meteorologica mondiale ha rilasciato insieme al Copernicus climate change service l’ultimo “rapporto sullo stato del clima in Europa”, che dipinge un quadro cupo per il nostro Continente: primo per riscaldamento, il più veloce a scaldarsi dagli anni ’80 a oggi – viaggia al doppio della media globale -, solo nel 2022 gli eventi climatici estremi hanno provocato la morte prematura di oltre 16mila persone (il 99,6% a causa delle ondate di calore). Qualche giorno prima, al nord delle Alpi, montagne segnate dalla più grande perdita di ghiacciai mai registrata, la città tedesca di Bonn, sede dell’Unfccc (l’agenzia Onu per la lotta ai cambiamenti climatici), è stata per un paio di settimane cuore dell’Europa e centro del mondo, almeno per quanto riguarda i dibattiti sul clima. Dal cinque al 15 giugno si è infatti tenuta la tappa intermedia dei negoziati sul cambiamento climatico con il duplice scopo di affinare quanto deciso nelle scorse Cop (Conference of parties) e di preparare il programma di lavoro della prossima (Cop 28) che si terrà dal 30 novembre al 12 dicembre negli Emirati Arabi, a Dubai.
L’unica nota davvero positiva emersa durante la Cop 27 di Sharm el-Sheikh dello scorso anno – qui per vedere cosa è successo - è stata l’istituzione di un fondo “loss and damage” che, finalmente, pone sul tavolo negoziale la questione di come finanziare le perdite e i danni subiti dai Paesi vulnerabili a causa della crisi climatica. Si registrava invece un sostanziale fallimento sul taglio delle emissioni gas serra e sui piani di adattamento. A Bonn la discussione su questi temi è proseguita, ma il processo politico ha di nuovo partorito un compromesso che non soddisfa nessuna delle parti in campo.
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