Certo si deve fare di più, ma non è vero che siamo fermi: il mondo si muove nella direzione della transizione ecologica. Per combattere chi sostiene che tutto è inutile, occorre documentarsi e diffondere informazioni positive.
di Donato Speroni
Se pensate che il mondo stia andando rapidamente all’inferno, sappiate che il vostro atteggiamento contribuisce al nostro futuro collettivo.
Si conclude così l’articolo di Avivah Wittenberg - Cox su Forbes dedicato al potere dell’ottimismo climatico. Un tema già segnalato dal direttore del Foglio Claudio Cerasa sulla base dei lavori della Chan School of public health di Harvard.
Intendiamoci, ci sono mille validi motivi per essere pessimisti e infuriati per come vanno le cose. Tanto per citare l’ultimo, il calcolo del Fondo monetario internazionale secondo il quale i carburanti fossili nel 2022 hanno ricevuto sussidi complessivi per 71mila miliardi di dollari pari a 13 milioni al minuto. E questo nonostante le generali promesse di abbattere le emissioni che producono gas serra e di favorire le energie rinnovabili.
È giusto che questi comportamenti siano denunciati, ma il tema, già affrontato anche in precedenti editoriali, riguarda l’impatto psicologico di queste notizie: c’è il rischio che la cosiddetta “ecoansia” si traduca in una rinuncia a impegnarsi, in un chiudersi nel proprio egoismo particolare, in un “carpe diem” perché tanto non c’è più niente da fare o comunque in un tentativo di salvare solo i propri cari lasciando che tutto il resto del mondo vada in malora. Una nuova forma di negazionismo, insomma, che non nega più la crisi climatica e le sue cause antropiche, ma la possibilità di fare qualcosa di utile per affrontarla.
La filosofia della School of public health di Harvard è proprio l’opposto.
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