“Nessuno deve rimanere indietro”, dice l’Agenda 2030. Per rispettare questo impegno dobbiamo salvaguardare gli strumenti di dialogo e cooperazione internazionale nonostante i conflitti. E anche riflettere sulla nostra società.
di Donato Speroni
Nell’intraprendere questo grande viaggio collettivo, promettiamo che nessuno verrà
lasciato indietro. Riconoscendo che la dignità della persona umana è fondamentale,
desideriamo che gli Obiettivi e i traguardi siano raggiunti per tutte le nazioni, per tutte le persone e per tutti i segmenti della società. Inoltre ci adopereremo per aiutare per primi coloro che sono più indietro.
Così recita il punto 4 del preambolo che introduce i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, sottoscritta dai 193 Paesi dell’Onu il 25 settembre 2015 e per la cui attuazione in Italia è nata l’ASviS.
Oggi, quasi a metà strada del percorso che va dalla firma dell’Agenda fino al 2030, è necessario chiederci se l’impegno a “non lasciare nessuno indietro” potrà davvero essere rispettato. Già nel 2021, a seguito della pandemia, l’analisi annuale del Segretariato generale dell’Onu ci aveva avvertito che l’obiettivo di eliminare entro il 2030 la povertà estrema, cioè quella di chi guadagna meno di 1,90 dollari al giorno, non sarebbe stato raggiunto e che anzi fin dal 2020 oltre cento milioni di persone in più erano finite in questa situazione a causa della crisi indotta dal Covid. Le cattive notizie sull’aumento della fame e della malnutrizione sono ora aggravate dalla crisi indotta dall’aggressione russa all’Ucraina, che, causando carenze di generi alimentari in molti Paesi del Sud del mondo destinatari dell’export dei due Paesi, minaccerà la sicurezza alimentare, afferma la Fao, di almeno 200 milioni di persone.
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