Il ritardo del Mezzogiorno e i suoi riflessi sociali ed economici sono testimoniati dal nuovo Rapporto ASviS, che descrive la situazione nelle Regioni e nelle città metropolitane con un decalogo di proposte.
di Donato Speroni
Nonostante la guerra, la crisi energetica e la ripresa dell’inflazione, non è stato un brutto anno per l’economia italiana. L’Istat ha confermato una previsione dell’aumento del Prodotto interno lordo in termini reali del 3,9%, superiore alla media europea. La spinta però si smorzerà nel corso del 2023, quando l’aumento previsto è solo dello 0,4% e questa situazione porterà a un maggiore divario tra le regioni del Nord e quelle del Sud e delle Isole, dove, secondo la Svimez, il Pil potrebbe contrarsi dello 0,4%.
I problemi del Mezzogiorno stanno tornando drammaticamente alla ribalta. L’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, per la parte affidata a Regioni e Comuni, è più in difficoltà dove le amministrazioni sono più deboli. Il progetto di autonomia regionale sul quale è impegnato il nuovo governo, se anche non dovesse tradursi in una sottrazione di risorse al Sud, affiderebbe comunque più compiti a quelle stesse Regioni deboli. Lo stesso progetto di attuazione del Ponte sullo Stretto apre il dibattito sulle priorità nella viabilità e nei trasporti in Calabria e in Sicilia, mentre la tragedia di Ischia richiama l’attenzione sulla fragilità del suolo in molte zone.
Il progetto di togliere il reddito di cittadinanza a chi è in grado di lavorare apre enormi interrogativi nelle regioni meridionali dove è concentrata una maggiore povertà e dove comunque mancano le occasioni di lavoro. Come ha evidenziato Luca Bianchi, direttore generale della Svimez,
Nel Sud, per carenza di offerte di lavoro e per le inefficienze dei servizi per l’impiego si può stimare che su una platea di circa mezzo milione di occupabili, circa 1 su 5 ha ricevuto un’offerta.
A questo mezzo milione di “occupabili” nel Mezzogiorno si devono aggiungere oltre 100mila occupati che percepiscono il Redito di cittadinanza perché i loro proventi non sono comunque sufficienti per toglierli da una situazione di povertà. Anche per questa categoria non è chiaro che cosa potrebbe avvenire in futuro.
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