Il prossimo “Summit for democracy” indetto da Joe Biden può risolversi in un flop come altre iniziative del passato. Ma c’è un gran bisogno di azioni rafforzate tra i Paesi che hanno valori comuni, contro l’arroganza degli autocrati.
di Donato Speroni
Morire per Taipei? O per Kiev? L’interrogativo ricorda l’agosciosa domanda che circolò nelle democrazie nel 1938, quando Adolf Hitler invase la Polonia. La Storia diede poi la sua risposta: combattere sarebbe stato necessario, non solo per Danzica, ma per salvare l’Europa dal nazismo.
Oggi nessuno in Occidente intende morire per salvare Taiwan dall’invasione cinese o l’Ucraina dall’invasione russa. Il governo di Joe Biden si limita a inviare nell’isola del Pacifico istruttori militari, per preparare un esercito che comunque non potrebbe resistere neanche un giorno alla potenza cinese, mentre in Europa si minacciano “gravi conseguenze economiche” se Vladimir Putin, dopo essersi annesso la Crimea senza colpo ferire e provocato la scissione del Donbass, dovesse procedere a occupare il resto dell’Ucraina, Paese che comunque non abbiamo avuto il coraggio di far entrare nella Nato per evitare impegni troppo stringenti.
Se si trattasse di una partita a scacchi, si potrebbe dire che ci sono pezzi destinati al sacrificio, soprattutto Taiwan, nonostante la volontà dei suoi abitanti. Ma è giusto che ci poniamo una domanda più generale. I regimi autocratici stanno aumentando di numero e di aggressività. E noi facciamo abbastanza per difendere i nostri valori? Non si tratta più di “esportare la democrazia”, infelice espressione del lessico americano che ha portato al disastro afgano e al mezzo fallimento iracheno, ma di salvaguardare il nostro modo di vivere in un mondo nel quale la democrazia stessa perde terreno.
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