La proposta di sanzionare fino a 5mila euro chi scrive “sindaca” è espressione di resistenze all’empowerment delle donne che vanno contrastate, ma riporta alla luce una domanda cruciale: l’evoluzione dell’italiano serve davvero alla parità di genere?
di Flavia Belladonna
Vi dirò la verità. La prima volta che ho sentito “medica”, ho pensato che suonasse proprio male. E mi è capitato anche di pensare che scrivere “ragazze e ragazzi” fosse scomodo rispetto a generalizzare con “ragazzi”, soprattutto per motivi di sintesi. Il mio approccio nel tempo è radicalmente cambiato, ma voglio condividere la mia esperienza perché credo che le resistenze culturali e le pigrizie mentali facciano parte della quotidianità di ognuno di noi. Essere sostenibili su tutto non è semplice, “non è un pranzo di gala” per le imprese, come dicono alcuni, ma non è nemmeno una passeggiata per noi cittadine e cittadini. Durante un laboratorio che ho tenuto sull’Agenda 2030, parlando di raccolta differenziata, un bambino delle elementari in tutta la sua spontaneità mi ha chiesto: “Io di solito divido plastica e carta, ma a volte è faticoso e ogni tanto proprio non mi va, che faccio?” In questi casi credo che l’unico antidoto alla pigrizia sia ricordarci perché lo facciamo. Vale per le attenzioni all’ambiente, così come per le sfide sociali. E dunque, quale motivazione deve spingerci a usare (senza sottovalutare) la lingua di genere? Contribuisce davvero a influenzare la parità uomo-donna?
A volte il tema viene sminuito, altre ostacolato. Un esempio eclatante è venuto dalla proposta del Disegno di legge del senatore della Lega Manfredi Potenti, dal titolo “Disposizioni per la tutela della lingua italiana”, intesa a vietare l’uso di termini femminili come “sindaca” e “rettrice” negli atti pubblici prevedendo sanzioni fino a 5mila euro per le infrazioni. L’iniziativa, ritirata il 22 luglio, ha sollevato diverse polemiche portando lo stesso partito a prendere le distanze. Una vicenda che è espressione di un retaggio culturale maschilista che va senz’altro contrastato. In questa sede, però, vorrei più che altro offrire spunti di riflessione concentrandomi sulla questione della lingua di genere non tanto dal punto di vista di chi ostacola apertamente la parità uomo-donna, ma di chi, pur essendo favorevole all’emancipazione femminile, ha delle incertezze o magari delle resistenze parziali o totali sul cambiamento di linguaggio.
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