Con un sistema economico già in fase di cambiamento, si deve decidere come privilegiare il futuro nell’allocazione di risorse limitate. Paesaggio e ambiente in Italia e le novità dell’ASviS per le sfide del 2023.
di Donato Speroni
Mi piace pensare, per la serenità dei nostri nipoti, che nella seconda metà del secolo l’umanità avrà fatto pace con sé stessa e con il Pianeta che la ospita. La notizia del primo esperimento riuscito di fusione nucleare ci promette energia pulita e a buon mercato per tutte e tutti, anche se a distanza di diversi decenni. Il progresso tecnologico fornirà risposte a molte domande che ci assillano, con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, se ben impiegata. Anche le tensioni geopolitiche, le guerre, le migrazioni di massa dovranno in qualche modo ricomporsi, per evitare il collasso dell’intero genere umano. Almeno lo spero.
La domanda però è come arrivare a questo nuovo equilibrio, perché le scelte che si fanno oggi e nei prossimi anni determinano la qualità della vita delle generazioni future. Potrebbe essere un mondo magari pacifico, ma fortemente degradato, senza la biodiversità che fa bella la Terra di oggi, inaridito in parte dal cambiamento climatico, con un’umanità soggetta a forti restrizioni nei suoi diritti, dominata da autocrati con l’aiuto di sistemi elettronici di controllo sempre più efficienti. Oppure si riuscirà a contenere il peggioramento delle condizioni umane e planetarie; con la salvaguardia dei nostri valori e con politiche inclusive per evitare fratture irreparabili, foriere di violenza, nelle condizioni sociali.
Anche se gli eventi di questi ultimi anni hanno allontanato il raggiungimento di molti dei Target dell’Agenda 2030 dell’Onu, il fatto stesso che esista questo impegno, condiviso in origine da tutti i Paesi del mondo, e la grande mobilitazione che si è verificata intorno all’Agenda in questi anni, indicano un percorso al quale si deve continuare ad attenersi. Siamo nella Decade of Action proclamata dall’Onu per l’attuazione dei 17 Obiettivi dell’Agenda, e tra qualche anno alle Nazioni unite si comincerà a discutere dei nuovi Goal che l’umanità dovrà prefiggersi per il 2045 o il 2050. Questo processo, per quanto difficile, è l’unica speranza per costruire una collaborazione tra le nazioni che vada al di là di specifici accordi, pur importanti, e delinei una visione globale sul futuro dell’umanità.
Il percorso che abbiamo davanti è reso più difficile dal cambiamento del modello di sviluppo che, ci piaccia o no, sta già avvenendo.
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