Giustamente, il segretario generale dell’Onu ha descritto la situazione attuale come una “tempesta perfetta”.
Il “ministro degli esteri” dell’Unione europea, Josep Borrell, ha ricordato la frase pronunciata da António Guterres nel corso dei suoi interventi in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu. Il termine “tempesta perfetta” per descrivere le minacce alla nostra civiltà, derivanti dalla somma dei fattori demografici, ambientali, economici e sociali, fu usato per la prima volta dal capo dei consulenti scientifici del governo inglese John Beddington in un suo rapporto del 2009, ripreso poi dal Population institute di Washington, diretto all’epoca da Robert Walker, che ne fece un opuscolo distribuito nelle scuole per sensibilizzare gli studenti americani alle sfide del futuro. Beddington collocava la crisi attorno al 2030; con il collega Gianluca Comin, partendo dal suo rapporto, pubblicammo per Rizzoli il libro “2030 La tempesta perfetta – Come sopravvivere alla Grande Crisi”.
Che cosa è cambiato in questi dieci anni? La “tempesta perfetta” ci ha colto molto prima di quel che potevamo aspettarci: ci siamo già in mezzo, come ci dice Guterres. Guerre, malattie, eventi legati alla crisi climatica riempiono i giornali come mai prima d’ora, ma ovviamente è anche aumentata la sensibilità dell’opinione pubblica e il tentativo di organizzare risposte adeguate. La sottoscrizione dell’Agenda 2030 dell’Onu nel 2015 e, a livello nazionale, la nascita dell’ASviS nel 2016, ne sono testimonianza.
Nei dibattiti che seguirono la pubblicazione del nostro libro fummo accolti con interesse e cortesia, ma anche con una punta di scetticismo. All’epoca il negazionismo era ancora molto forte: c’era chi negava il cambiamento climatico e le sue cause antropiche. Più in generale, si minimizzavano le minacce del futuro, nella convinzione che il progresso scientifico e tecnologico avrebbe risolto tutte le sfide.
Oggi la situazione è radicalmente diversa.