Transizione ecologica e digitale, formazione e ricerca, competitività e superamento delle disuguaglianze sono sfide che non si possono affrontare solo con politiche nazionali. E la democrazia va rafforzata, riducendo l’astensionismo.
di Enrico Giovannini
Forse ricorderete quando avete votato per la prima volta. Forse ricorderete l’emozione di quel primo segno sulla scheda elettorale, anche se forse non così forte come quella della protagonista del film della Cortellesi. E forse ricorderete le accese discussioni con i vostri coetanei per decidere per chi votare. Ecco, a giudicare dai risultati delle elezioni della scorsa settimana, sembra che tutto questo sia giudicato da molti solo un ricordo (per chi non ha mai votato neanche questo) e non una straordinaria possibilità di contribuire a scrivere il futuro del nostro Paese (e addirittura dell’Europa).
Infatti, solo poco meno della metà degli aventi diritto si sono espressi sulle proposte avanzate dalle forze politiche per il futuro dell’Unione europea e di oltre 3.700 Comuni, il che conferma una volta di più la crescente disaffezione degli italiani e delle italiane per la politica, o almeno per la politica come praticata dalle forze oggi in campo. L’astensione è stata particolarmente forte nel Mezzogiorno (dieci punti in più rispetto al Nord), nei piccoli Comuni e tra i giovani. D’altra parte, la partecipazione è stata più alta di circa 20 punti nei Comuni dove si svolgevano anche le elezioni amministrative rispetto a quella registrata dove si votava solo per le europee, il che testimonia l’esistenza di un problema aggiuntivo, cioè la distanza delle istituzioni europee percepita da una parte consistente della popolazione italiana.
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