Il battello corre veloce attorno all’isola di Vågsøy per mostrarci i quattro fari che in quelle acque difficili guidano le navi fino al porto di Maloy. Oggi il mare è calmo, il sole splende come raramente accade sulla bellissima costa norvegese, ma siamo cinque gradi di latitudine sotto il circolo polare artico, il vento è fresco e noi turisti mediterranei siamo ben imbacuccati nelle nostre giacche a vento. Invece, il nostro condottiero, il biondo e roccioso Harald (il nome è di fantasia ma la storia è vera) è orgoglioso di stare a prua con una maglietta leggera.
“Sto ancor meglio a venti gradi sottozero”, dice in perfetto inglese. Studente di medicina, arrotonda nei mesi estivi facendo la guida turistica. Fino a poco tempo fa lavorava nelle isole Svalbard, nel Mar Glaciale artico, dove accompagnava i turisti in escursioni naturalistiche, in particolare a vedere gli orsi bianchi. Poi se n’è andato per due ragioni: la prima è che in estate, quando il sole non tramonta mai, anche gli orari di lavoro di fatto si allungano: “non avevo abbastanza tempo per studiare”. Ma la seconda e più importante è che “ci sono sempre meno orsi e sempre più turisti”. “Now it’s a circus”, è diventato un circo, dice con tristezza. “E andrà sempre peggio, the Artic is finished!”.
Harald è certamente un ambientalista, ma appartiene a una categoria che purtroppo sta crescendo, di quelli che non hanno più voglia di battersi perché vedono con i loro occhi gli effetti del cambiamento climatico (più che mai evidenti nell’Artico, ma anche nel nostro Mediterraneo), mentre i leader politici non riescono a mettersi d’accordo per evitare la catastrofe.
Dagli orsi polari alla polarizzazione italiana. Rientrato dal viaggio, mentre anche l’Italia soffre tutti i guai del cambiamento climatico (calore estivo eccessivo, alluvioni, tempeste di vento e grandine, piogge violente e improvvise dopo mesi di siccità), mi ha colpito l’astrattezza del dibattito politico su questi temi, rilevato del resto da molti commentatori.