Da Mariana Mazzucato a Johan Rockström e Jeffrey Sachs, in vista del Summit del futuro arrivano le prime ipotesi sulle sorti del Piano globale. Intanto anche l’ASviS si interroga su come “disegnare il futuro, cambiando il presente”.
di Flavia Belladonna
L’Italia è in ritardo, l’Europa ha compiuto importanti passi avanti, ma c’è ancora molto da fare, il mondo non è sulla buona strada. Eccola la narrativa che ci insegue ogni anno quando escono i Rapporti che fanno il punto sullo stato di attuazione dell’Agenda 2030 e dei suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs). E anche quest’anno la storia si ripete con la pubblicazione delle edizioni 2024 del Sustainable development report di SDSN e del rapporto di Eurostat sugli SDGs nell’Unione europea e delle nuove raccomandazioni della Commissione europea all’Italia che includono un’analisi sugli SDGs. Dello stesso tono è anche la nota del Segretario generale dell’Onu António Guterres in vista dell’High-level political forum (Hlpf), il summit che si terrà a New York dall’8 al 18 luglio per fare il punto sullo stato di attuazione dell’Agenda 2030, specialmente sul tema della lotta alla povertà.
Viene dunque da chiedersi: che senso ha proseguire con impegno se tanto non facciamo mai abbastanza? Gli sforzi richiesti dall’Agenda 2030 sono forse troppo ambiziosi? E che cosa succederà a quegli Obiettivi che non riusciremo a raggiungere entro la data stabilita? Ma soprattutto, quando arriverà alla sua scadenza, che cosa accadrà all’Agenda 2030 stessa?
A quest’ultimo interrogativo hanno provato a rispondere dieci studiosi, tra cui Mariana Mazzucato, Johan Rockström e Jeffrey Sachs, in un articolo pubblicato su Nature in vista del Summit del futuro che si terrà a settembre, avanzando all’Onu sei priorità da seguire. È sulla base delle loro riflessioni, dei risultati dei Rapporti degli ultimi mesi e dei dibattiti interni all’ASviS che proverò a fornire una prima risposta a queste domande.
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