I progressi nella lotta all’aumento delle temperature vanno a rilento e c’è chi vorrebbe trovare una scorciatoia accelerando la ricerca di nuove tecnologie. Ma la sfida si vince qui e ora.
di Donato Speroni
“Sul clima siamo passati dalla ambizione alla speranza”. Le sconsolate parole del segretario generale dell’Onu Antònio Guterres riassumono i deludenti risultati del Climate ambition Summit che il 20 settembre, nell’ambito dell’Assemblea generale, ha fatto seguito all’SDG Summit dei due giorni precedenti. Alla vigilia della Cop 28 sul clima che si terrà a Dubai dal 30 novembre, c’è da chiedersi se qualche progresso è possibile.
L’incontro di New York si è articolato in tre gruppi di lavoro. Il primo, sulla credibilità delle politiche “Net zero” si è risolto in una condanna del greenwashing e nell’auspicio di politiche effettivamente credibili. Il secondo, sull’adattamento ai cambiamenti inevitabili, ha messo in evidenza alcuni progressi soprattutto per la protezione degli Stati insulari e si è risolto in una richiesta di maggiori fondi. Il terzo, sulla decarbonizzazione e la transizione energetica, ha messo in risalto i gravi ritardi soprattutto in campo industriale, dove per esempio le emissioni di anidride carbonica per produrre una tonnellata di acciaio sono le stesse di 20 anni fa.
Il Summit si è concluso con una discussione sul fondo “Loss and damage” che dovrebbe indennizzare i Paesi più esposti dai danni provocati dalle emissioni dei Paesi più ricchi. Ma anche qui si sono registrate significative divergenze sul ruolo dei Paesi emergenti che sono anche grandi inquinatori come la Cina. Guterres ha anche lamentato la scarsa attenzione al clima nell’ultimo G20 di Delhi.
L’utilità di questi vertici viene messa in discussione.
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