Per fortuna la piccola Melokuhle è stata presa al volo, ma la storia di questa bambina sudafricana di due anni che la madre ha dovuto lanciare dal secondo piano della sua casa per salvarla dall’incendio appiccato dai saccheggiatori durante i disordini di Durban è un simbolo di questi tempi bui e del difficile avvenire che si prepara per le nuove generazioni. Quanti sono gli Stati falliti nel mondo e quanti quelli travagliati da violenze, oppressioni, contrasti che sembrano insanabili? Sono abituato a svegliarmi la mattina con “Radio3 Mondo”, l’ottima rassegna stampa internazionale che la Rai trasmette dalle 6.50, ma non si può dire che di questi tempi le cronache mettano allegria. Solo nell’ultima settimana, si è parlato di altri due Stati praticamente ingovernabili: il Libano e Haiti. Quello che succede in Afghanistan, dopo venti anni di impegno militare occidentale, mette una gran rabbia: non abbiamo saputo fare di meglio che riconsegnare il Paese a un regime incapace di opporsi ai talebani. Come a Saigon, ma con l’aggravante che per le donne afgane la sorte sarà ben peggiore delle vietnamite. E poi ci sono le crisi ormai croniche, dalla Siria all’Iraq e allo Yemen, dalla Somalia alla Libia, per non parlare del diffondersi del Jihadismo nell’Africa subsahariana. E poi Cuba e il Venezuela: Paesi dove la gente avverte di non avere un futuro e cerca di fuggire. Conflict, Climate change, Covid, forces more people into hunger, ha scritto Un news pochi giorni fa, presentando il recente rapporto delle agenzie dell’Onu sull’aumento della fame nel mondo. L’attenzione alle tre C diventa centrale per molte grandi organizzazioni internazionali, a cominciare da Save the children che ne sta facendo oggetto della sua riflessione strategica.
L’High level political forum che si è concluso ieri a New York ha fatto, come ogni anno, il punto sulla attuazione dell’Agenda 2030 e ci sarà tempo per valutarne i risultati, anche alla luce delle 42 Voluntary national reviews presentate quest’anno. L’Italia, che diede un primo resoconto della sua Strategia nazionale di sviluppo sostenibile nel 2017, si è impegnata a presentare la sua prossima Review nel luglio 2022. I lavori di quest’anno comunque sono stati caratterizzati dall’allarmato rapporto presentato dal segretario generale dell’Onu António Guterres. La pandemia, si legge nel Rapporto,
ha innescato una crisi di proporzioni monumentali, con effetti catastrofici sulla vita e sui mezzi di sussistenza delle persone, e sugli sforzi per realizzare l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Anche sull’altra C, il clima, non solo non si fa abbastanza per prevenire l’aumento della temperatura, ma un preoccupato rapporto di Amnesty international mette in evidenza che in molti casi la crisi climatica ha generato “una serie di effetti a catena che possono seriamente compromettere il diritto a vivere una vita dignitosa”. Il Rapporto arriva ad accusare i Paesi più ricchi di “colonizzazione atmosferica”: mentre i Paesi in via di sviluppo sono i più colpiti dai cambiamenti del clima, non possiamo dimenticare che “tra il 1751 e il 2014 solo Stati Uniti, Regno Unito e Germania hanno prodotto una quantità di emissioni di gas serra superiore di almeno sei volte la media globale”.
È forte, di fronte a un quadro così buio, la tentazione di lasciarsi andare al pessimismo. Le cronache però ci forniscono qualche motivo di speranza, anche se quello che si registra si colloca più nel campo delle buone intenzioni che delle iniziative immediate. Ci sono idee, proposte, promesse di azioni concordate. Sappiamo che i tempi degli impegni internazionali sono sempre lenti, troppo lenti rispetto a quanto sta accadendo. Ma dobbiamo accudire queste fiammelle di speranza, le uniche che possono consentire un cambiamento della situazione mondiale.